Uno studio recentissimo, pubblicato su Current Biology, ha indagato la relazione tra religione e prosocialitá nei bambini, concentrandosi soprattutto sulle famiglie che si definiscono religiose.
I comportamenti prosociali sono quelli che senza ricompense esterne, favoriscono le altre persone o il raggiungimento di obiettivi sociali positivi. Le abilità prosociali ci sono l’empatia, la comprensione degli altri, l’assistenza, la valorizzazione della diversità, la solidarietà.
Lo studio è stato condotto da Jean Decety, del dipartimento di Psicologia dell’Università di Chicago, ed è stato finanziato dalla John Templeton Foundation, un’organizzazione di ispirazione cristiana nata nel 1987 per volontà di sir John Templeton, che decise di investire il suo patrimonio nella promozione di studi e ricerche sui rapporti fra religione e scienze.
Le conclusioni possono sembrare a prima vista inaspettate: i genitori religiosi considerano i loro figli più empatici e sensibili alle ingiustizie; le modalità di trasmissione di valori e pratiche religiose da una generazione all’altra non favoriscono il comportamento altruistico; la religiosità aumenta le tendenze punitive, invece dell’altruismo.
I risultati, come hanno spiegato i ricercatori, «sfidano la tesi per cui la religione sia di vitale importanza per lo sviluppo morale, e supportano l’idea che la secolarizzazione del discorso morale non diminuirà la bontà umana ma farà esattamente il contrario», e «poiché 5,8 miliardi di esseri umani, che rappresentano l’84 per cento della popolazione mondiale, si identificano come religiosi, la religione è senza dubbio un aspetto prevalente della cultura che influenza lo sviluppo e l’espressione della prosocialità».
Gli studiosi hanno spiegato questo fenomeno come un meccanismo di “licenza morale”: la religiosità è percepita come segno di bontà e i praticanti potrebbero consentire a loro stessi, “inconsciamente”, di essere più egoisti nella vita quotidiana.