Nonostante il dibattito politico in materia sia, da anni, serrato e tra Leggi, Decreti e sentenze della Corte Costituzionale il quadro normativo appaia piuttosto oscuro e incomprensibile ai più, è un fatto che, nel 2014, il 32% degli Italiani, di età compresa tra i 15-64 anni, abbia affermato di aver fatto uso di marijuana una tantum, nella vita (statistica dell’EMCDDA). Un altro fatto è che in Stati come l’Uruguay, il Colorado, Washington e la città di Portland la stessa sostanza è stata, già da anni, legalizzata; mentre in altri, anche del Vecchio Continente (Olanda, Portogallo, Belgio, Svizzera, Spagna), l’uso personale e la coltivazione (in taluni casi finanche la vendita) sono stati oggetto depenalizzazione.
Sebbene il confronto, nel nostro paese, si concentri principalmente sugli effetti politici-economici che la liberalizzazione di tale sostanza produrrebbe, sarebbe bene riportare il dibattito sul piano degli effetti che essa produce sulla salute umana. Stando a uno studio pubblicato su Scientific Reports, dei ricercatori Americani, osservando il comportamento di varie droghe (alcool, eroina, cocaina, tabacco, ecstasy, meth e marijuana) sull’organismo, hanno appurato che la marijuana, con riguardo al rischio di mortalità, è ben 114 volte meno letale dell’alcool. Essa, non essendo, tuttavia, immune da effetti negativi, si può dire abbia una doppia anima, così schematizzabile:
Effetti positivi e usi terapeutici
A livello biomedico ci sono prove che indicano che il Thc è un ottimo analgesico che può essere sfruttato per alleviare alcune forme di dolore (specie per pazienti terminali), in caso di inefficacia di altre cure palliative. In commercio, a livello mondiale, si trovano medicinali a base di componenti e derivati della cannabis: fra questi c’è il Sativex, già presente anche in Italia, ed utilizzato su pazienti affetti da sclerosi multipla. Ulteriori studi riguardano gli effetti neuro-protettivi per malattie degenerative come il parkinson, ma in tal senso le ricerche sono ancora ad una fase primordiale. Infine, dalla medicina tradizionale è noto come la marijuana stimoli l’appetito (la cosiddetta fame chimica), e per tale ragione è, spesso, utilizzata per le forme di inappetenza in pazienti terminali o sottoposti a chemioterapia. Insomma, è evidente che si tratti di una sostanza su cui si sta lavorando (e tanto) e non deve escludersi il proliferare, nel giro di pochi anni, di farmaci il cui principio attivo sia proprio un derivato della cannabis.
Effetti negativi a lungo termine
Il principale effetto negativo è la dipendenza. Anche se trattasi di una droga leggera rispetto a cocaina ed eroina, è comunque una sostanza che porta all’abuso, con conseguente tossicità per l’organismo. Le categorie più a rischio sono gli adolescenti, molto sensibili agli effetti sul sistema nervoso centrale, i cui danni in certi casi permangono anche in età adulta. è pacifica in letteratura la correlazione, in soggetti naturalmente predisposti, tra l’uso di marijuana e lo sviluppo di patologie psicotiche o schizofrenie anche a lunga distanza dal periodo di consumo. La ragione risiede nella non raggiunta completa maturazione del cervello nell’adolescente, sicché l’uso di cannabis può modificarne la struttura e le funzioni.
Cosa accade invece negli adulti? L’uso saltuario non va demonizzato. Esso produce gli stessi rischi di un paio di sigarette o un superalcolico. La cannabis, infatti, agisce imitando alcune sostanze che abbiamo naturalmente nel cervello, in modo simile a come morfina ed eroina imitano le endorfine. Tutt’altra cosa avviene nel cervello in caso di uso spropositato, fisiologicamente sarebbe un po’ come scaricare una bomba atomica laddove di solito si lanciano pallini. Ma, in sostanza, per i consumatori occasionali l’unico rischio consiste nella distorsione della percezione di spazio e tempo. Va, peraltro, osservato che gli effetti negativi non sono tanto causati dalla quantità, quanto dall’uso continuato, che può portare a effetti collaterali organici e psichici da intossicazione da cannabis, fra cui ad esempio i sintomi della sindrome amotivazionale, ovvero mancanza di interesse e apatia.
Insomma, in attesa di nuove scoperte, in medio stat virtus.