L’Italia è un Paese di risparmiatori. Questa è la sintesi dei quadri statistici che costantemente ci forniscono Istat e rapporti Censis. Il popolo italiano sogna pochi progetti per il futuro preferendo rimanere in letargo accantonando qualche euro laddove è possibile. Il PIL ritarda a crescere e la situazione economica generale spinge i cittadini verso un risparmio, cautelativo potremmo aggiungere. Basti prendere ad esempio un “semplice” dato: dal 2014 al 2015 nei conti correnti bancari ci sono 44 miliardi di euro in più. Questo sta a significare che la crisi, non ancora terminata, induce sempre più a risparmiare.
L’ultimo dato importante l’Istat lo ha fornito ieri, quando ha informato che il potere d’acquisto è tornato a salire su base annuale, registrando un +0,8%, e ciò non si verifica dal 2007. Il problema però si pone quando i dati vengono letti trimestre su trimestre, dove si può constatare un difficile recepimento. Ovvero, non sempre il rapporto economico tende ad essere proporzionale, si susseguono fasi cicliche che portano ad una gioia momentanea oppure ad una tristezza momentanea. In particolare questo periodo di fine crisi, speriamo possa davvero definirsi così, porterà sempre ad avere questi dati non stabili, ma volatili, dove le inversioni di tendenza saranno all’ordine del trimestre. Per cui sarà importante seguire le vicende economiche con massima attenzione, e soprattutto senza festeggiare o scoraggiarsi dopo la lettura degli ultimi dati disponibili. Ed anche la propensione degli italiani al risparmio subisce cambiamenti, benché come detto prima siamo un popolo di risparmiatori. L’ultimo trimestre del 2015 infatti segna una retromarcia sul risparmio, stimata allo 0,8%. Anche se l’aumento del reddito a disposizione delle famiglie, verificatosi l’ultimo anno, ha comunque indotto al classico comportamento: se rimangono soldi, si mettono da parte. Mentre sono i consumi a crescere, anche se in misura limitata, dove gli ultimi due trimestri dello scorso anno, 2015, segnano un +0,4%.
E’ abbastanza chiaro che l’economia reale avrebbe bisogno di maggiori investimenti, però questi dati volatili non fanno alto che incutere sempre più incertezza e disorientamento nelle famiglie italiane.