A poco più di una settimana dagli attentati che hanno colpito Bruxelles, i dettagli che emergono sulla gestione della sicurezza da parte delle autorità belghe sono preoccupanti.
Tante sono le cose che non hanno funzionato a dovere il 22 marzo, a cominciare dal sistema interno di comunicazione della polizia belga, che è stata costretta a coordinarsi attraverso Whatsapp (sic!). Ma il punto – oggi – è un altro.
Il New York Times (nell’edizione di martedì 29), attraverso un informatore francese, sostiene che alcuni giorni prima dell’attentato (il 16 marzo) l’FBI abbia fornito alle autorità olandesi alcune informative circa il pericolo fondato di un attentato che sarebbe potuto verificarsi. E, come se non bastasse, le informative in oggetto riportavano nomi e cognomi di quelli che oggi sappiamo essere due degli attentatori: i fratelli El Bakraoui. Le autorità olandesi hanno correttamente inoltrato le informazioni ai colleghi belgi, i quali però non le hanno preso minimamente in considerazione, per negligenza o insipienza chissà.
Questa però è la notizia più recente, che si aggiunge a quello che abbiamo letto nei giorni scorsi sulle scorribande che i soggetti attenzionati hanno liberamente fatto in lungo e in largo per l’Europa, dal Belgio alla Grecia passando per l’Italia.
Tutti questi casi dimostrano due aspetti importanti. Innanzitutto, l’inefficienza del sistema europeo di sicurezza, che è evidentemente incapace di fronteggiare una minaccia seria e strutturata come quella del terrorismo islamista. Del resto, a un potenziale servizio di intelligence europeo mancano mezzi e coordinamento. Tanti sono i limiti economici e giuridici che ne compromettono l’efficacia e l’efficienza. Per dirne una, l’Europol – l’agenzia europea che dovrebbe in teoria rappresentare la sintesi a livello europeo delle autorità nazionali di polizia – dispone di appena mille uomini e di una dotazione finanziaria annuale di circa 90 milioni di dollari. Il confronto con l’FBI, cui palesemente si ispirano intenzioni e operazioni dell’Europol, è impietoso. Oggi Il Giornale riassume bene la questione dicendo che «l’FBI vale quante 90 Europol».
Il secondo aspetto, probabilmente più rilevante, è quello relativo al Belgio. Non c’è forse migliore definizione di quella che ha utilizzato in modo lungimirante Tim King su Politico nel novembre scorso: «Belgium is a failed state». Non è qui la sede opportuna per dire se la dizione utilizzata da King sia appropriata o no, perlomeno da un punto di vista giuridico. Ciò che rileva, però, è che comunque lo si voglia definire, il Belgio è uno stato fottuto. Parliamo di un paese che è rimasto per venti mesi (dal 2010 al 2013) senza governo, perché il sistema proporzionale vigente per via delle fratture sociali storicamente esistenti aveva partorito un parlamento senza maggioranza, determinando uno stallo che si è protratto per 541 giorni e che si è superati attraverso il più italiano degli inciuci. Ma questo è l’aspetto prettamente politico. Cui si aggiunge un serio problema relativo alla sicurezza interna. Gli attentati della settimana scorsa hanno acceso i riflettori su Molenbeek, comune contiguo a Bruxelles, che è a tutti gli effetti il covo del terrorismo islamico in Europa, inaccessibile persino alle forze dell’ordine belghe che – in occasione dell’arresto di Salah Abdeslam – si sono visti recapitare molto gentilmente, dalla popolazione residente, contumelie oggetti di ogni tipo.
Del resto, questo è l’effetto di un multiculturalismo esasperato che ha contraddistinto negli ultimi anni il Belgio e i suoi governanti, alla ricerca isterica di un equilibrio politico e sociale, difficile da trovare per ragioni molto più radicali di quanto si possa pensare. Un paese diviso che si è pensato di unire (o unificare) attraverso concessioni scellerate e discutibili, che hanno soltanto accresciuto il grado di confusione e le fratture interne, con conseguente fallimento dello Stato.
Uno Stato che, essendo sede delle principali istituzioni europee, dovrebbe essere emblema dell’Unione e della cultura europea, e che invece è la proiezione su larga scala di tutte quelle criticità che caratterizzano oggi il Vecchio continente.