È davvero eclatante la soffiata che trapela da un’analisi Coldiretti: il 55% degli italiani consuma cibi scaduti senza alcuna remora.
L’indagine è stata condotta sulla base dei dati di Eurobarometro, relativi al mese di Settembre 2015, dai quali emerge che solo il 32% delle famiglie italiane butta via gli alimenti scaduti, l’11% decide in base al tipo di alimento mentre il 2% degli intervistati non ha voluto rispondere.
Appare inverosimile che nel 2015 si possono ancora mangiare cibi che vanno oltre la data di scadenza.
La Coldiretti afferma che: “a guidare il comportamento degli italiani è la scarsa conoscenza delle informazioni fornite in etichetta con riguardo alla scadenza dei prodotti ed in particolare in merito al diverso significato tra “da consumarsi preferibilmente entro il..” e “da consumarsi entro”“.
In particolare per quest’ultimo termine ben il 27% degli italiani ha comportamenti diversi a seconda del tipo di alimento mentre il 20 % ritiene, erroneamente, che il cibo possa essere consumato dopo la data indicata anche se potrebbe non essere della massima qualità.
Invece, come affermato da Coldiretti, rileva la dicitura “da consumarsi entro..” ossia la data entro cui il prodotto deve essere consumato ed anche il termine oltre il quale un alimento non può più essere posto in commercio.
Tale data di consumo, precisa la Coldiretti, non deve essere superata altrimenti ci si può esporre a rischi importanti per la salute. Si applica ai prodotti preconfezionati, rapidamente deperibili, così come al latte fresco (che scade in 7 giorni) ed alle uova (che scadono in 28 giorni). La data di scadenza è indicata dal giorno, dal mese ed eventualmente dall’anno e vale, indicativamente, per tutti i prodotti con una durabilità non superiore a 30 giorni.
È compito di ogni singola azienda effettuare prove di laboratorio sui propri prodotti, osserva ancora Coldiretti, per misurare la crescita microbica e valutare dopo quanti giorni i valori organolettici e nutrizionali cominciano a modificarsi in modo sostanziale. Il risultato, conclude dunque Coldiretti, è che per l’olio d’oliva extra vergine, ad esempio, alcune aziende consigliano il consumo entro 12 mesi mentre altre superano i 18, con il rischio, per il prodotto, di perdere le caratteristiche nutrizionali e di gusto.
Gli effetti del mancato rispetto dei tempi di scadenza variano da prodotto a prodotto: per lo yogurt, che dura 1 mese, il prolungamento di 10-20 giorni non altera l’alimento ma riduce il numero dei microrganismi vivi mentre, al contrario, per i pomodori pelati quasi tutte le confezioni riportano scadenze di 2 anni, anche se la qualità sensoriale è certamente migliore se si consumano prima.