Probabilmente nessuno dei giornalisti italiani che ha scritto un articolo sul tema è andato a leggere lo studio originale intitolato “Effetto della carne e delle tecniche di elaborazione dei cibi del Paleolitico Inferiore sulla masticazione degli umani” (Impact of meat and Lower Palaeolithic food processing techniques on chewing in humans – link allo studio orginale QUI) pubblicato sulla rivista scientifica Nature dagli studiosi Daniel Lieberman e Katherine Zink della Harvard University. Lo studio ha dato il via a roboanti titoli sui giornali, soprattutto in Italia. Mi sono intristito parecchio di fronte alle approssimative e pubblicitarie aperture di articolo come quelle del quotidiano Libero:
La carne ci ha reso intelligenti. Quindi chi mangia carne è più intelligente. Dunque i vegani…quantomeno dovranno ricredersi.
Partiamo da un presupposto. Si tratta di una nuova teoria molto affascinante e verosimile, ma questo non vuol dire che siamo di fronte alla risposta definitiva, universalmente riconosciuta dal mondo scientifico: è quello che è, cioè una nuova ipotesi scientifica. E le tesi riferite a ciò che è accaduto 3 milioni di anni fa, evidentemente, si poggiano spesso su ragionamenti logici apparentemente solidi, ma al tempo stesso poco verificabili. Ma soprattutto, le ipotesi dello studio sono state completamente stravolte dalle sintesi riportate sui giornali italiani: per ignoranza o per volontà?
Chiariamo immediatamente. Per questo studio, non è la carne in sé ad averci trasformato, non sono i suoi nutrienti ad averci reso più intelligenti. Cominciare a mangiare carne potrebbe aver innescato una serie di conseguenze che hanno velocizzato la nostra evoluzione, ma in modo indiretto.

La teoria si basa su un’intuizione plausibile: in una situazione di scarsità di cibo e risorse tecnologiche, la carne era evidentemente la fonte più veloce per assumere le calorie necessarie alla sopravvivenza. Nello studio pubblicato su Nature, gli scienziati hanno testato su dei volontari il numero di masticazioni e la forza impiegata per masticare diversi cibi presenti nel Paleolitico. I ricercatori sono giunti alla conclusione che una dieta composta per un terzo da carne, unita all’uso dei primi utensili in pietra per spezzettare tutti i cibi, avrebbe permesso all’uomo di dedicare molte meno risorse fisiche (-27% di forza della mandibola necessaria) e di tempo per mangiare (-18% nel numero di masticazioni necessarie). Dovendo mangiare e masticare meno, l’articolazione della mandibola sarebbe diventa meno poderosa, ma più mobile e agile e con denti più piccoli.
Ciò potrebbe stare alla base di un miglioramento della modulazione dei suoni, con l’aumento della complessità del linguaggio. Oltre a questo, il dover consumare un cibo per cui i nostri pre-antenati non erano morfologicamente adatti, perché sostanzialmente frugivori, può averli spinti a ricercare soluzioni tecnologiche alternative: da qui l’invenzione dei primi utensili di pietra. Mangiare carne, insomma, ci avrebbe permesso di dedicare meno tempo a masticare coriacee radici e tuberi per concentrarci su altro, come parlare con i nostri simili, fornendo indirettamente più stimoli allo sviluppo delle nostre capacità cognitive e calorie extra per alimentare un cervello più grande.
Non c’è dubbio che sia una teoria che segue una logica sensata, ma è lungi dall’essere la soluzione maestra dell’intera comunità scientifica e lascia aperto più di qualche dubbio. Per esempio, non cancella l’evidenza che il nostro apparato digerente continua a essere quasi identico a quello di un gorilla e molto simile a quello degli animali erbivori; tantomeno cancella il fatto che la nostra fisiologia sia quella di una macchina alimentata a vegetali. Gli elementi di cui non possiamo fare a meno per vivere sani sono presenti solo nei vegetali (antiossidanti, fibre, alcuni minerali e vitamine, per citare i principali): è un fatto inopinabile che viviamo sanissimi se mangiamo tanta verdura e, allo stesso tempo, la privazione di carne non comporta alcuna carenza (per i faziosi, la B12 era ampiamente presente nelle radici dei vegetali dei nostri antenati e lo sarebbe tutt’oggi se non utilizzassimo fertilizzanti e pesticidi); per contro, la scienza dimostra che ci ammaliamo se mangiamo poca verdura e abbondiamo col consumo di carne.
Gli stessi Scimpanzé, con cui condividiamo circa il 98% del nostro patrimonio genetico, sono sostanzialmente vegetariani, con un consumo di piccoli insetti o uccelli che non supera il 3% della loro dieta. Pensare che l’uomo abbia cominciato a consumare la carne regolarmente già 3 milioni di anni fa e che non ci siano tracce di ciò nella conformazione del nostro apparato digerente lascia aperta una grossa crepa sulle colonne portanti di questa nuova teoria.
Ben vengano studi scientifici innovativi come questo, che cercano soluzioni possibili e stimolano vecchie e nuove domande. Ennesima occasione persa, invece, per la stampa italiana: sembra che la difesa della carne abbia assunto connotazioni politiche di destra, probabilmente perché gli ambienti animalisti sono vicini al mondo di sinistra. Ma nel 1861, primo rilevamento Istat, il consumo di carne pro capite in Italia era di circa 3 kg all’anno. Una dieta largamente vegana va oltre il valore simbolico ed ecologico delle battaglie animaliste, è un patrimonio per la salute di tutti e sono la scienza e la tradizione a dirlo: le statistiche parlano chiaro, la vera dieta mediterranea dei contadini del Sud di oltre un secolo fa era sostanzialmente vegana, con il consumo di prodotti di origine animale in occasioni speciali e sporadiche.