Lunga e tortuosa appare ancora la strada che porta al riconoscimento degli SSM (same sex marriage) nello Stato Italiano.
Il 26 ottobre scorso, infatti, il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso proposto contro l’annullamento, disposto dal Prefetto di Roma, delle trascrizioni, negli archivi comunali di stato civile, dei matrimoni gay contratti all’estero. Per i giudici di Palazzo Spada, infatti, tale coniugio difetterebbe dell’indispensabile requisito della diversità di sesso fra gli sposi.
Procedendo nella ricostruzione di questa querelle politico-giudiziaria, va ricordato come tutto ha avuto inizio con la decisione, forse infelice, dell’allora sindaco di Roma Marino di trascrivere, come fatto in precedenza dai suoi colleghi di Bologna e Milano, ben 16 matrimoni gay celebrati all’estero, sulla base di quel principio di reciprocità per cui due persone sposate in Spagna o nel Regno Unito sono sposate anche in Italia, e viceversa.
Tale scelta non è, di certo, risultata gradita al Ministro degli Interni Alfano che, affermandone la contrarietà alla legge italiana, il 7 ottobre 2014, ha provveduto ad inviare, a tutti i prefetti dello Stivale, una circolare, affinché gli stessi provvedessero ad annullare d’ufficio tutte le eventuali trascrizioni nei registri di stato civile di matrimoni gay celebrati all’estero. Nella stessa si evidenzia, infatti, la non conformità di tali trascrizioni alle leggi italiane e si ribadisce la competenza esclusiva del legislatore nazionale in merito all’eventuale equiparazione dei matrimoni omosessuali a quelli celebrati tra persone di sesso diverso.
Vincolati da tale missiva, i Prefetti di Roma e Bologna provvedono ben presto ad annullare i provvedimenti dei sindaci dei rispettivi Comuni, suscitando un conseguente proliferare di ricorsi amministrativi presso i TAR d’Italia, da parte di numerose coppie omosessuali.
Il TAR del Lazio e altre quattro Corti hanno accolto il ricorso degli sposini, affermando che l’annullamento delle trascrizioni nei registri comunali dei matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all’estero possa essere disposto solo dall’autorità giudiziaria ordinaria (quindi da un tribunale civile) e non dal Ministro dell’Interno o dal Prefetto.
Tuttavia, dopo soli pochi mesi,il Consiglio di Stato, dinanzi al quale era stato presentato appello, ribaltando la sentenza dei TAR, ha affermato che i prefetti hanno il potere di «autotutela sugli atti adottati contra legem dall’organo subordinato» e che, comunque, nei Trattati europei ed internazionali non è riconosciuto, ad oggi, alcun «diritto fondamentale al matrimonio omosessuale» che possa vincolare le autorità italiane.
Il dispositivo della sentenza è stato accolto con immaginabile entusiasmo da parte del Ministro Alfano, che ha twittato, dal suo profilo ufficiale, «Dopo un anno di polemiche #ConsigliodiStato mi dà ragione: sindaci non possono trascrivere #nozzegay e spetta ai Prefetti vigilare. Bene!», mentre le associazioni per i diritti LGBT, oltre ad aver contestato nel merito la sentenza hanno accusato il giudice relatore Carlo Deodato di parzialità, avendo condiviso sul suo account Twitter proclami e articoli di associazioni prolife e esplicitamente contro il matrimonio gay.
Il dibattito non pare, insomma, sopito e chissà che, tra qualche anno, non ci ritroveremo a commentare una sentenza del tutto innovativa che segni una svolta epocale per il nostro ordinamento.